THE LEFTOVERS - Stagione 3 - RECENSIONE

Esistono serie tv che si fanno aspettare e serie tv che vale la pena aspettare. A questa seconda categoria appartiene The leftovers, breve ma intensissima elegia al mutevole e spesso incomprensibile potere della fede.
È bastato scorgere all’inizio del viaggio, tre anni fa, il nome di Damon Lindelof tra i credits, in qualità di showrunner, assieme aTom Perrotta, autore del romanzo omonimo dal quale la serie è tratta, per formulare un automatico paragone (successivamente confermato) con la serie tv più importante post-anni duemila: The leftovers possiede, infatti, diversi punti di contatto con Lost (che Lindelof aiutò a creare, assieme a J.J. Abrams e a Jeffrey Lieber), a cominciare dalla sua natura metafisica, perennemente in bilico tra drama-fiction e fanta-fiction, prodotto stracolmo di simbolismi, metafore, riferimenti teologici e spirituali e improntato con lo scopo di ricercare una Verità più alta di una semplicistica conclusione di una serie di eventi concatenati tra loro.
The leftovers ha dimostrato fin dai primissimi episodi di possedere non solo un corpo formato da trama e personaggi, ma soprattutto un’anima, proiezione dell’istinto di Lindelof e Perrotta di voler realizzare una serie tv criptica, spesso difficilmente intelligibile (ma non per questo senza senso!), scritta con criterio, ma messa in scena con coraggio e in maniera anticonvenzionale. Su tutti spiccano i due episodi (uno appartenente alla seconda stagione, l’altro, una sorta di continuo, alla terza) nei quali Kevin viene rappresentato come un assassino specialista, in un mondo fittizio, emblematico e strutturato affinché ogni personaggio non solo appaia al di fuori del contesto programmato della serie, ma funga come elemento metaforico strumentalizzato per scandagliare l’Io turbato e intimorito del protagonista.
In questa terza e conclusiva stagione, Lindelof e Perrotta non si curano di narrare passo dopo passo l’epilogo della loro storia da un punto di vista onnisciente (o principalmente da quello di Kevin/Justin Theroux), sfruttando, bensì, il modus operandi "lostiano" degli episodi-centrici, raccontati, cioè, ciascuno da un punto di vista differente, da personaggi differenti; e, in fin dei conti, questa era l’unica e saggia decisione possibile da prendere, poichè The leftovers si concentra proprio su coloro che sono rimasti, coloro che devono fare i conti con il dolore, l’insicurezza e le incertezze derivate da una spasmodica ricerca di senso nella fede e in ciò che ognuno sceglie di credere.

Ritroviamo, così, Kevin alle prese con il suo scetticismo, amplificato dall’incapacità di morire (è davvero immortale...?), il reverendo Matt Jamison (un superlativo Christopher Eccleston, attore dotato di una presenza scenica empatica e commovente) ossessionato dal fatto che Kevin sia il nuovo Messia, Kevin Garvey Sr. (Scott Glenn), il padre di Kevin, convinto che nel giorno del settimo anniversario la Terra verrà purificata dal diluvio universale e Nora (che sorpresa Carrie Coon!) desiderosa di riabbracciare i figli scomparsi e mai arresasi all’idea di lasciarsi il passato alle spalle.
Ognuno di loro (comprimari annessi) crede in qualcosa, ognuno di loro crede che nel giorno del settimo anniversario accadrà qualcosa di importante e significativo non solo per comprendere cosa accadde il giorno della dipartita, ma per comprendere a pieno il proprio ruolo nel ciclo dei disordinati eventi vissuti fino a ora. Ed è proprio questo l’aspetto più intrigante di The leftovers: la serie di Lindelof e Perrotta non si concentra su un evento inspiegabile e sovrannaturale (qual è la dipartita), ma lo sfrutta per mostrare le reazioni di chi è stato costretto a confrontarsi con esso, nel mostrarci il disperato bisogno di chiunque di loro di credere in qualcosa, non importa cosa; i rimasti, i sopravvissuti, sono uomini, donne e adolescenti diversi per capacità intellettive e carattere, ma accomunati da un bisogno corrosivo di spiegare (anche attraverso strumenti divini e teologici) quello che non riescono a comprendere o si rifiutano di comprendere. Siamo noi, esseri imperfetti e imprevedibili, alla perenne ricerca di verità, qualunque essa sia, terrorizzati e ammaliati dall’ignoto e da ciò che non riusciamo a materializzare. In questo modo la serie di Lindelof e Perrotta assume i contorni di un racconto introspettivo che gioca sul potere dell’immagine e dell’immaginario, dal quale emergono le fragilità dell’essere umano di fronte al dubbio e al sospetto che qualcosa di divino, di trascendentale sia davvero all’opera: la fede è l’unica ancora di salvezza per i protagonisti di The leftovers, un’armatura contro l’incoscienza, un collante tra l’uomo e la società.
The leftovers è, d’altronde, una serie tv che parla di lutto, dell’elaborazione di esso e prova (riuscendoci!) a mostrare l’unico modo per andare avanti, nel decoro e nel rispetto di chi non è più tra noi: il commovente finale, in cui Nora racconta la sua esperienza (ultraterrena?) a Kevin, correlata all’ostinata ricerca di Nora da parte di Kevin, ricongiunti dopo anni di allontanamento, rappresenta il raggiungimento di una consapevolezza assoluta, che coincide con la rassegnazione di dover sempre volgere lo sguardo verso l’orizzonte e aggrapparsi a ciò (a coloro) che restano, che ci restano. Una rassegnazione che non deve essere intesa come una sconfitta, ma come l’unico modo di rapportarsi a quello che non si può prevedere e conoscere, una sorte di paracadute contro l’isolamento e la solitudine: Lindelof e Perrotta sanno che tutti i personaggi sono destinati a perdersi (la dipartita è un evento traumatico, un punto di rottura), e ritrovarsi all’infinito, perchè questo richiede il ciclo della vita, questo esige la natura umana, perchè anch’essa rifiuta il vuoto, si ribella all’assenza.
The leftovers è, quindi, un breve, ma profondo e straziante afflato metaforico, un invito a non sprecare il tempo che ognuno ha a disposizione e fare incetta di ricordi, assaporando appieno il presente, poichè basta un istante per perdere l’amore, gli affetti e con essi, parte di noi stessi.

La dipartita della serie di Lindelof e Perrotta rappresenta un lutto (televisivo) con il quale anche i fan dovranno confrontarsi, ormai affezionati a un cast di protagonisti talmente immersi e identificati con la loro natura fallace e ambigua e una narrazione fuori dai boriosi schemi della maggior parte delle serie tv attuali. Così The leftovers lascia al suo posto un vuoto incolmabile. Ma com’è giusto che sia, bisogna pur sempre guardare avanti e gioire del presente, in memoria di ciò che non c’è più.

Titolo: The Leftovers
Genere: drammatico, fantastico
Episodi: 8
Durata episodi: 51-72 minuti
Trasmissione italiana: Sky Atlantic